RESTAURI

IL MUSEO ARCHEOLOGICO DI SABRATHA
DETTAGLI

 

Progetto di restauro

Commissione: Studio d’architettura Michelangelo Lupo

Committente: Eni Nord Africa, NOC – National Oil corporation

Date: 2008 – 2009

Luogo: Sabratha, Libia

Foto di Fabian Baroni

LA CORNICE DEL PROGETTO

Il progetto che ci apprestiamo ad illustrare rientra in un programma sviluppato e finanziato da Eni Noth Africa, in collaborazione con la NOC – National Oil Corporation, che tra il 2006 e il 2014 portò al restauro di due fra i più importanti siti archeologici del Paese; stiamo parlando delle Terme delle Caccia di Leptis Magna e il museo archeologico di Sabratha, entrambi Patrimonio dell’Umanità Unesco. Sabratha si trova a 70 km ad ovest di Tripoli ed è una delle tre città di origine punica da cui deriva il nome Tripolitania, vale a dire la regione costiera della Libia nord-occidentale, originariamente formata dai distretti delle tre città di Oea (l’attuale Tripoli), Leptis Magna e Sabratha appunto. Quest’ultima, fondata dai Fenici nel VII secolo a.C., passò presto in mano cartaginese e fu poi conquistata dai Romani nel 46 a.C., che l’annetterono alla Provincia Africana facendone una zona di grande prosperità. Nel complesso, il sito archeologico è formato dal museo e da un teatro romano risalente al II – III secolo d.C., che beneficiò di un decisivo intervento di ripristino ad opera dei Soprintendenti delle Antichità della Tripolitania, quando la Libia divenne colonia italiana. Alla fine degli anni Venti del secolo scorso infatti, il teatro fu riportato alla luce grazie agli scavi intrapresi da Renato Bartoccini e proseguiti da Giacomo Guidi, il quale si occupò anche della ricostruzione della scena, resa possibile dal ritrovamento di numerose colonne e dal tracciato dei filari in muratura. L’intervento fu concluso nel 1937, quando sotto la gestione del Soprintendente Giacomo Caputo, il teatro fu inaugurato alla presenza di Benito Mussolini con la rappresentazione dell‘Edipo Re di Sofocle.

PREMESSE STORICHE E FILOLOGIA DEL PROGETTO

Il restauro del Museo di Sabratha si è fondato sui disegni di progetto realizzati tre il 1930 e il 1934 da Diego Vincifori, l’architetto italiano che collaborò spesso con l’allora Soprintendente alle Antichità della Tripolitania Giacomo Guidi, nella valorizzazione dei reperti storici rinvenuti durante i numerosi scavi compiuti da quest’ultimo. Si tratta di 29 tavole a matita, penna e acquerello, ritrovati da Badereddin Esheh e Feryal Sharfeddin nella documentazione conservata  presso il Castello di Tripoli relativa agli interventi italiani del periodo coloniale, che hanno permesso un approccio filologico puntuale all’intervento di restauro conservativo dell’edificio razionalista.

Il primo nucleo del museo fu un edificio a protezione dei mosaici della basilica giustinianea realizzato da Giacomo Guidi. Se inizialmente l’idea era quella di una struttura che accogliesse i mosaici della navata centrale e delle due laterali nel luogo stesso dello scavo, in seguito il Soprintendente decise per un edificio, non lontano dal luogo del ritrovamento, in cui la parte del mosaico ritenuta più importante, quella della navata centrale, fu sistemata sul pavimento della costruzione, mentre i mosaici delle navate laterali furono sistemati verticalmente, alle pareti. Fu progettata anche una scala doppia, alla cui sommità, un pianerottolo, avrebbe permesso ai visitatori di apprezzare i mosaici nel loro complesso, da posizione sopraelevata rispetto al piano pavimentale. Il parapetto in legno impiallacciato visibile nelle immagini sottostanti a restauro già ultimato, sostituì quella che era l’idea originale del progetto, che avrebbe previsto un parapetto in ferro battuto.

IL MUSEO PRIMA DEL RESTAURO: GLI ESTERNI E IL CORPO CENTRALE

Oltre all’edificio dedicato ai mosaici giustinianei, il complesso museale era formato da un edificio con un atrio colonnato e porticato con impluvium centrale, ma i cambiamenti e le sovrapposizioni avvenute nel corso degli anni avevano modificato l’aspetto originario. Al momento del sopralluogo l’atrio si presentava più come un normale cortile ornato da una fontana centrale. Attraverso l’esame dei disegni di progetto di Vincifori e  un rapido sondaggio è stato possibile capire che effettivamente la pavimentazione del cortile, fatta di comunissime quadrotte di cemento, era stata una sovrapposizione successiva. Anche la fontana non era stata mantenuta nella sua forma originale in quanto il piatto baccellato era stato rimosso a favore di una vasca di cemento, e il capitello che lo sosteneva era stato rimosso. Il rivestimento in marmo della vasca non era più visibile, così come l’aiuola che seguiva perimetralmente la vasca ottagonale, entrambi ricoperti con delle banali piastrelle in cotto. In linea generale il manufatto museale, pur non presentando problemi di natura strutturale, versava in uno stato di manutenzione precario e richiedeva la sostituzione di porte e serramenti.

GLI ESTERNI A RESTAURO ULTIMATO

È stato sufficiente un rapido sondaggio per scoprire che la pavimentazione originale era presente e intatta sotto lo strato di quadrotte di cemento. Una volta rimosso lo strato superficiale sono riemersi i blocchi di basalto che corrono parallelamente al perimetro del cortile, percorso in senso radiale da quattro doppi corsi in pietra chiara, sotto i quali si trovano le canalizzazioni dei pluviali che convergono alla fontana centrale. Una ricerca nel giardino a labirinto ha restituito anche la vasca romana baccellata della fontana e il capitello corinzio che la sosteneva, mentre un sondaggio all’interno della vasca ha rivelato, sotto uno strato di piastrelle e cemento, tutta la composizione di marmi antichi a mosaico com’erano in origine. Dopo un’attenta pulizia e un leggero restauro, il patio del corpo centrale del complesso e la fontana ottagonale circondata dall’aiuola hanno riacquistato completamente la loro personalità originale.

L’ALA ORIENTALE: STATUARIA, MOSAICI E AFFRESCHI

Come risulta chiaro dalle immagini già proposte, il museo è formato da un corpo centrale da cui si diramano due ali laterali. L’ala orientale era quella destinata alla statuaria e a frammenti musivi provenienti dal teatro e dalle case romane di tutta l’area, mentre l’ala occidentale era quella deputata ad ospitare lucerne, avori, bronzi e vetri. L’ala orientale è stata dotata di un nuovo impianto d’illuminazione e ripulita. I frammenti di mosaico e di affresco sono stati  inseriti in ricostruzioni grafiche rese possibile grazie al riconoscimento e alla rappresentazione ad acquerello eseguita nei primi anni di vita del museo da Nino Calabrò-Finocchiaro sotto la gestione del soprintendente Caputo, e dotate di didascalie. La collezione di statue, per quanto annoveri sculture romane di evidente pregio, non è stata ancora studiata a sufficienza da consentire un riconoscimento puntuale di tutti i pezzi che la compongono.

L’ALA OCCIDENTALE: L’ANTIQUARIUM

L’ala occidentale era quella dell’antiquarium, dove si conservavano lucerne, avori, vetri. L’idea originale caratterizzata da 6 stanze comunicanti mediante un percorso ad U, due pilastri a croce mediani e grandi vetrine passanti che permettevano di apprezzare gli oggetti da diverse posizioni e angolazioni e fungevano da elemento architettonico principale.