MICHELANGELO LUPO

 

ARCHITETTO

 

LIGHTING DESIGN

LA CAPPELLA DI URBANO VIII

PALAZZI APOSTOLICI, CITTÀ DEL VATICANO

 

LA CAPPELLA DI URBANO VIII

La cappella che porta il suo nome nacque per volontà di Papa Urbano VIII Barberini come un ambiente intimo, una cameretta di 5 metri per 4,40, da destinare a funzioni liturgiche private, a cui si accedeva dall’ultima delle stanze decorate da Raffaello, vale a dire “l’appartamento vecchio”, quello che all’epoca era la dimora pontificia. La volta lunettata è decorata con cornici di stucco dorato e le lunette ospitano affreschi che riprendono episodi della Passione di Cristo come l’Orazione nell’orto, la Flagellazione, l’Incoronazione di spine, l’Incontro con Veronica. Secondo la ricostruzione di Maria Barbara Guerrieri Borsoi, la decorazione pittorica della cappella sarebbe da attribuire al pittore Alessandro Vaiani poco prima della morte dell’artista. Il quadro d’altare ad affresco che raffigura Cristo deposto dalla croce, una Pietà con la Madonna, San Giovanni, Maria Maddalena e Nicodemo, è con ragionevole certezza opera di Pietro da Cortona, un’opera datata 1635 che, sempre secondo Guerrieri Borsoi, andò a sostituire una pala d’altare eseguito pochi anni prima da Alessandro Vaiani e la figlia Anna Maria.

I CORAMI

Uno dei pregi della cappella è rappresentato da un particolare tipo di parato che ne riveste e decora preziosamente le pareti a partire da un’altezza di circa 47 cm dal piano di calpestìo: i corami. Questi erano un parato di pelle animale, di cuoio, rivestiti da una lamina d’argento e fissati mediante delle fascette di passamaneria decorativa sul lato superiore e fascette di legno nella parte inferiore. L’effetto dorato è il risultato del passaggio su tutta la lamina argentata di un tipo vernice a base oleo-resinosa dal colore giallo molto intenso. Il motivo decorativo infine si otteneva grazie a degli stampi lignei intrisi di un pigmento coprente di colore blu. I corami in questione, che per il motivo decorativo possono essere datati alla fine del Seicento, provenivano molto probabilmente da altre aree dei Palazzi Apostolici e sembra che la loro presenza nella cappella non fosse precedente al 1854.

DESCRIZIONE COMPLESSIVA DELL’INTERVENTO

Nel 2005 i corami sono stati rimossi dalle pareti per un’intervento di restauro affidato a Marina Regni. Nel 2012, sotto la direzione del Professor Antonio Paolucci, l’architetto Michelangelo Lupo ha elaborato un progetto per un loro ripristino accompagnato da un progetto per una struttura di pannelli protettivi in metacrilato e un nuovo impianto illuminotecnico. Infine è stato ripristinato anche l’altare che occupava la parte sottostante la nicchia che ospita l’affresco di Pietro da Cortona e che era stato rimosso.

DETTAGLI

Committente: Direzione dei Musei Vaticani e Governatorato della città del Vaticano

Intervento: Progetto illuminotecnico; progetto di ricollocamento dei corami decorativi e posizionamento pannelli protettivi.

Date: 2011-2012

Luogo: Palazzi Apostolici, Città del Vaticano.

IL RIPRISTINO DEI CORAMI RESTAURATI

Il progetto di restauro della cappella prevedeva tra gli altri, un intervento di ricollocamento dei corami decorativi freschi di restauro. Si trattava di circa 90 lamine da 83,5x53,5 per una superficie totale di 44 mq.

I PANNELLI A PROTEZIONE DEI CORAMI

Per proteggere i corami appena restaurati sì è provveduto alla progettazione di una struttura eseguita interamente in lastre di metacrilato trasparente da 25 mm di spessore, con bordi tagliati e lucidi per ridurre al minimo l’effetto interruzione e ottimizzare la continuità fra uno e l’altro. Lo spessore e la marcata rigidità le permette di autosostenersi senza altre strutture di sostegno. L’altezza di ogni lastra è di 200 cm e termina perfettamente in linea con un taglio orizzontale presente sul cuoio. La larghezza varia nel rispetto delle diverse pareti della cappella, ma anche in questo caso si è osservata l’accortezza di far cadere i giunti delle lastre perfettamente sulle linee verticali di connessione tra una lamina di corami e l’altra. Le lastre sono ancorate ad uno zoccolo fissato al muro, e le viti di fissaggio nascoste da un contro zoccolo di piccolo spessore, dipinto con un motivo che riprende fedelmente il pavimento in marmo. Il contro zoccolo occupa esattamente quella porzione di parete non interessata dai corami, posti a circa 47 cm d’altezza dal piano di calpestìo. Una piattina in metacrilato posta sul lato alto e interno delle lastre, funge da elemento di connessione fra una lastra e l’altra, riduce le vibrazioni e “sigilla” la struttura per evitare l’introduzione voluta o accidentale di corpi estranei.

IL PROGETTO ILLUMINOTECNICO

L’impianto di illuminazione è realizzato in LED inseriti in 4 corpi posizionati negli angoli ad un’altezza di circa 2,50 m da terra. Ogni corpo illuminante ospita due diodi ad altissima efficienza ad emissione complessiva di 1800 lumen (26 w) con dissipazione mediante ventilazione forzata a membrana. L’alimentazione delle lampade avviene attraverso un montante inserito negli angoli formati dall’intersezione delle pareti.

L’ASCESA E IL MECENATISMO DI PAPA URBANO VIII

Maffeo Virginio Romolo Barberini nacque il 5 aprile 1568 a Firenze da Antonio e Camilla Barbadori. I suoi avi, la famiglia Tafani da Barberino, conquistò una posizione di rilievo tra i notabili della città grazie al commercio di lane e tessuti. La loro residenza fiorentina, Palazzo Tafani da Barberino, si trova nel centro storico della città, in Borgo dei Greci. Con l’ascesa del prestigio familiare, i tre tafani che ne caratterizzavano lo stemma furono ritenuti poco signorili e sostituiti da tre api, poi diventate celebri perché rappresenteranno uno dei motivi presenti su molte importanti opere del barocco romano volute da Urbano VIII Barberini, una su tutte il baldacchino monumentale sito nella Basilica di San Pietro a protezione delle tomba del Santo. Lo stesso valse per il nome della famiglia che, da Tafani, volse a Barberini riprendendo il nome del luogo d’origine, Barberino Val d’Elsa.

La morte prematura del padre Antonio appena trasferite le attività commerciali ad Ancona, spinse Maffeo, fanciullo di soli tre anni, sotto l’ala protettrice dello zio Francesco Barberini il quale, in qualità di protonotario apostolico, non solo provvedette alla sua istruzione, ma si adoperò generosamente affinché il nipote compisse una brillante carriera all’interno della Curia Romana che lo portò rapidamente a raggiungere i massimi livelli delle gerarchie ecclesiastiche. Studiò dapprima a Firenze, poi presso il Collegio Romano dei Gesuiti dove si laureò in legge, dopodiché conseguì un dottorato in utroque iure (vale a dire in diritto civile e canonico) presso l’Università di Pisa. Era il 1589. Negli anni a venire fu ordinato diacono e, su rinuncia dello zio, nel 1593 ne assunse l’ufficio di protonotario. La morte dello zio Francesco nel 1600 gli procurò una cospicua eredità che, sommata al ricavato dalla liquidazione dell’azienda di famiglia, pose un Barberini appena trentenne in una posizione di tale forza e prestigio da renderlo uno dei personaggi più in vista della città. Nel 1601 fu nominato nunzio straordinario a Parigi. Nel settembre del 1604 riceve gli ordini ecclesiastici maggiori e nei due mesi successivi il conferimento della consacrazione episcopale e la nomina a nunzio ordinario presso la corte reale di Francia. Distintosi nell’attività diplomatica, nel 1606 fu promosso da Paolo V al cardinalato e dopo circa un anno poté lasciare Parigi per tornare a Roma. Negli anni che lo separavano dall’elezione a Pontefice con il nome di Urbano, avvenuta il 6 agosto 1623, Barberini, che era uomo colto dotato di un raffinato gusto estetico, coltivò la sua passione per l’arte, il collezionismo e i rapporti con il mondo della cultura. Tra i rapporti di mecenatismo più importanti e proficui che si svilupparono e consolidarono durante il periodo prelatizio, cardinalizio e poi pontificio di Barberini, quelli con Gian Lorenzo Bernini, Pietro da Cortona, Carlo Maderno.

Il rapporto con il primo fu particolarmente intenso e nacque dalla commissione di un San Sebastiano e si sostanziò durante i lavori di erezione della cappella di famiglia inaugurata nel 1616 nella chiesa di S. Andrea della Valle, per la quale il Bernini scolpì i busti dei genitori e quattro cherubini, guadagnandosi da quel momento la stima del futuro Pontefice come artista in grado di comunicare quel senso di teatralità e potenza di cui Barberini intendeva investire se stesso e la Chiesa. Il Bernini stesso rappresentava uno strumento per affermare la propria grandezza anche nel campo delle arti e la sua ambizione era quella di incoraggiare e consegnare alla storia un nuovo Michelangelo. Gli commissionò la ricostruzione della chiesa di S. Bibiana (primo lavoro in architettura del Bernini) e in seguito alla morte di Carlo Maderno la direzione dei lavori della Basilica di San Pietro, all’interno della quale troviamo troviamo alcune sue importanti opere quali la statua di San Longino, il monumento funebre di Urbano VIII e il monumentale baldacchino barocco dell’altare maggiore posto a protezione della tomba di Pietro, primo Pontefice della Chiesa di Roma. In seguito alla morte di Carlo Maderno gli fu affidata la direzione dei lavori per il completamento di Palazzo Barberini, oggi sede delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, e del Palazzo di Propaganda Fide o Collegio Urbano. Fu anche autore di importanti fontane, come quella del Tritone, delle Api, ed ebbe un ruolo anche nel portare a termine la “Barcaccia”, fontana ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti la cui realizzazione fu inizialmente affidata al padre Pietro.

Il mecenatismo di Urbano VIII nei confronti di Pietro da Cortona tese a valorizzare quella che l’artista riteneva la sua vocazione più profonda, ma lo incoraggiò anche in architettura. Sotto l’egida del Pontefice si espresse nella realizzazione degli affreschi di Santa Bibiana e in quella che è senza dubbio la sua opera più importante, l’affresco della Divina Provvidenza, a Palazzo Barberini. In campo architettonico si dedicò alla progettazione del Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo, che divenne dimora estiva dei Papi proprio a partire dalla consuetudine iniziata da Urbano VIII, e la pianta a croce greca  della Chiesa dei Santi Luca e Martina al Foro Romano porta la sua firma.

Busto di Urbano VIII realizzato da Gian Lorenzo Bernini