MICHELANGELO LUPO
ARCHITETTO
MOSTRE
DOSSO DOSSI
Rinascimenti eccentrici al Castello del Buonconsiglio
12 luglio – 2 novembre 2014
Castello del Buonconsiglio, Trento
DOSSO DOSSI
Rinascimenti eccentrici al Castello del Buonconsiglio
Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (MI) 2014
(pubblicazione e mostra inserite nella collana “La città degli Uffizi”)
DESCRIZIONE
Eccentrico, lirico, originale, allegorico. Questi gli aggettivi spesso utilizzati per descrivere la vivace personalità artistica di Niccolò Luteri, in arte Dosso Dossi, mirabile pittore riscoperto solo all’inizio del secolo scorso ed entrato di diritto nell’olimpo dei più grandi dell’arte italiana. L’intento della mostra era, da un lato, quello di rendere manifesto il dialogo artistico e ideale esistente fra i capolavori più significativi di Dosso, e alcune opere dei grandi Maestri di cui si fece originale interprete quali Giorgione, Tiziano, Raffaello, Michelangelo. Dall’altro si intendeva restituire una prospettiva diversa dell’opera e della produzione dell’artista che abbracciasse l’imponente ciclo di dipinti e affreschi del Magno Palazzo del Castello del Buonconsiglio compiuti dall’artista — spesso a quattro mani col fratello Battista — durante la loro permanenza a Trento tra il 1531 e il 1532 per volere del principe vescovo Bernardo Cles. Sono state richiamate opere conservate agli Uffizi e alla Galleria Palatina di Firenze, alla Galleria Estense di Modena, alla Pinacoteca Nazionale di Ferrara, alla Pinacoteca di Brera e presso altre importanti istituzioni.
DETTAGLI
Committente: Galleria degli Uffizi di Firenze
Curatela: Vincenzo Farinella e Lia Camerlengo
Consulenza artistica e progetto dell’allestimento: Michelangelo Lupo
La regina della mostra è una delle tele più apprezzate di Dosso Dossi, un capolavoro che ne esprime tutta la poetica e la capacità di creare una tensione onirica che attraversa la realtà lasciando l’immagine in sospensione: Giove pittore di farfalle, conosciuto anche come “Giove, Mercurio e la Virtù”. Confiscata nel 1939 dai nazisti alla famiglia del conte Lanckoronski, è stato conservato fino a qualche anno fa al Kunsthistoriches Museum di Vienna ed ora alloggia nel Castello del Wawel a Cracovia. Giove, ritratto nell’atto della creazione, dipinge farfalle su una tela alle cui spalle s’innalza un arcobaleno d’oro e appare come rapito da un’estasi creativa che lo estranea da ciò che lo circonda. Mercurio veglia la catarsi del suo re ed è immortalato nell’istante in cui, con un impalpabile quanto perentorio gesto del dito indice, si volta invitando al silenzio una serva, la Virtù, che trafelata si appresta ad irrompere nella scena portando con sé motivi che avrebbero senza dubbio irrimediabilmente compromesso la pace creativa di cui godeva in quel momento il proprio re. Secondo Farinella, curatore della mostra, il motore narrativo di quest’opera, vale a dire le figure di Giove, Mercurio e la Virtù, è di natura letteraria e risiede in una delle Intercenales di Leon Battista Alberti dal titolo Virtus, in cui Mercurio, con un fitto scambio di battute, difende i momenti d’ozio di Giove nei confronti della dea Virtù venuta a lamentarsi del trattamento ricevuto dalla dea Fortuna.
Farinella documenta che il duca Alfonso I, avvezzo ad attività manuali, artigianali e artistiche di varia natura, avviò la costruzione di un sontuoso palazzo sull’isola di Boschetto, sul Po, dove lui stesso, assieme ad altri artisti, si sarebbe potuto dedicare all’ozium creativo tanto caro al mondo greco-romano, che rappresentava la condizione ideale in cui la creatività dell’aristocrazia aveva modo di svilupparsi e raggiungere i suoi risultati più alti. Le letture dei testi di Alberti sarebbero avvenute proprio all’interno di quel palazzo ed è molto probabile che la stessa tela di Dosso vi fosse destinata. Le farfalle, con la loro leggerezza e la loro eleganza, rappresentano il simbolo di questa forma di ozio operoso, le testimoni di come opere di inusitata bellezza e perfezione siano il risultato, il prodotto del distacco dalle responsabilità quotidiane.
Un’altra opera molto intrigante presente in mostra, restituisce un’immagine della donna quale depositaria della arti magiche. La protagonista della tela è con ogni probabilità Melissa, maga seguace di Merlino e amica di Bradamante cantata dall’Ariosto nel VII canto dell’Orlando Furioso. Si pensa infatti che la fascinazione per questo personaggio scaturisca proprio dal testo dell’Ariosto, pubblicato negli stessi anni in cui fu realizzata l’opera o in quelli immediatamente successivi. Melissa era un nome conosciuto già nel mondo classico ed evocava la sacerdotessa rappresentante la magia bianca, una magia benefica e utile all’uomo. Il dipinto è di norma custodito in Galleria Borghese, a Roma.
Il curatore ha voluto che le suggestioni e le influenze ricevute dall’incontro o dalla frequentazione dei grandi Maestri fossero sempre ben riconoscibili. L’influenza e il debito contratto a Venezia nei confronti dei pittori veneti è testimoniata da un’opera di Giorgione, Suonatore di flauto conservato a Galleria Borghese a Roma, accostata all’opera di Dosso Giovane donna con satiro.
L’eredità di Raffaello e Tiziano e Michelangelo è rappresentata dalla presenza di queste tre opere: La Strage degli Innocenti, una delle stampe di Raffaello divulgate da Marcantonio Raimondi e conservate al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi; Ritratto di un cavaliere di Malta, di Tiziano, Galleria degli Uffizi; disegno di studio per l’Adamo della Cacciata dal Paradiso poi dipinto a fresco nella Volta della Cappella Sistina, Casa Buonarroti, a Firenze.